MONTELLO
Presa numero due.
Con questo primo articolo vorrei parlarvi di casa mia, del posto da cui vengo.
Sono cresciuta in una collina della provincia di Treviso, per la precisione la prima collina che si incontra quando da Venezia si sale in direzione delle montagne; ha una forma a fagiolo ed è lo spartiacque tra la pianura e i rilievi: il Montello.
Un colle che si stende in direzione est ovest per una quindicina di chilometri e largo appena cinque, lambito sul lato nord e quello est dal fiume Piave.
L’immagine che ho negli occhi di questo luogo è di dolci curve, che talvolta si inaspriscono in valli a V; di sprazi di prati che si alternano ad estesi boschi di acacie che in primavera sprigionano il profumo dei loro fiori. Ricordo i vigneti di mio nonno e i profumi delle stagioni che si alternano senza sosta; il profumo del fieno che secca in estate e il colore dei cachi maturi nel grigio dell’autunno.
La storia che permea questo luogo si perde nella notte dei tempi: dai primi insediamenti del Neolitico, ai primi abitanti Veneti, dall’annessione alla Repubblica di Venezia alle sanguinose battaglie della Prima Guerra Mondiale.
Per secoli rimase di dominio della Repubblica di Venezia che aveva espanso i suoi possedimenti sulla terraferma per rifornirsi dei prodotti della terra e della legna dei boschi.
Il Montello divenne il vivaio delle querce che servivano per costruire le navi della Serenissima. L’intero colle fu suddiviso in dieci fasce e ogni dieci anni le querce di una di queste venivano abbattute e attraverso il fiume Piave arrivavano all’Arsenale di Venezia. Il bosco aveva così cento anni per rigenerarsi e offrire il legname di cui Venezia aveva bisogno.
Quando alle porte dell’Ottocento Napoleone cedette il colle al dominio Austriaco, queste fasce furono divise a metà, costituendo così venti zone, nelle quali il disboscamento avveniva quindi ogni 5 anni.
Queste fasce sono ancora visibili, poiché i loro confini sono oggigiorno rappresentati dalle venti strade, che percorrono il colle da sud a nord. I nomi di queste venti vie, rimangono spesso sconosciuti agli abitanti stessi, poiché le strade sono chiamate localmente “prese”, seguito dal numero di ognuna di queste.
La mia presa è la numero due, anche chiamata via Paradiso. Mi è sempre piaciuto pensare si chiamasse così perché dopo qualche centinaio di metri dall’imbocco della via, le case si fanno rade e il bosco avvolge la strada che tra le sue curve sale tra prati, boschi e profonde doline, che ci parlano di un paesaggio carsico modellato dall’acqua.
Ma di questo parleremo un’altra volta.